cooperativa Stella Montis
Trento - Trentino Alto Adige/Süd Tirol

Solidarieta
Settore
Welfare
sociale,val di non,anziani
1993
Nasce nel
Quando il bene comune diventa obiettivo di una cooperativa

La cura degli anziani nella RSA di Fondo è stata un’occasione di crescita personale oltre che un’occasione per mettere in pratica i modelli di gestione imparati all’Università. La testimonianza di Mariangela Franch

A cura di Dirce Pradella di Mariangela Franch

Il mio incontro con la cooperazione Trentina è avvenuto al di fuori dalla tradizione familiare, come conseguenza del mio impegno amministrativo. L’accordo di programma elettorale della lista con cui fui eletta consigliera del Comune di Fondo prevedeva la realizzazione di una casa soggiorno per anziani. Erano gli anni Ottanta e il numero di persone sole e in difficoltà, soprattutto d’inverno, stava crescendo. Alcuni anziani non avevano il riscaldamento in casa ma solo la stufa a legna, altri non riuscivano a muoversi in caso di neve o maltempo, altri erano soli. Guidato dal sindaco Bertagnolli, il consiglio decise di acquistare un vecchio albergo per rispondere a queste necessità. Ma come gestirlo? La giunta, di cui facevo parte, prese in considerazione due alternative: la gestione diretta, che presentava però molte rigidità, e l’affidamento ad una cooperativa, che concedeva maggiore flessibilità.
Nel 1983 fu costituita quindi la cooperativa Stella Montis che coinvolse più di 320 soci in rappresentanza di quasi tutte le famiglie del paese. Inizialmente la cooperativa venne gestita in modo informale da soci volontari, che, a seconda delle esigenze, diventavano cuochi, animatori e accompagnatori. Era una specie di casa-alloggio che ospitava per qualche pomeriggio o qualche settimana anziani in difficoltà, offrendo accoglienza e umanità. Ben presto però i bisogni cambiarono ed emersero richieste di assistenza infermieristica e di accoglienza per periodi lunghi. In sette-otto anni i venticinque posti letto furono completamente saturati al punto che il comune guidato dal sindaco Bertol decise di acquisire quattro grandi edifici in centro paese, ristrutturarli e trasformarli in una nuova residenza per anziani con sessanta posti letto. In quel periodo stava anche cambiando la legge sulle cooperative sociali, che introdusse quattro diverse categorie di socio (sostenitore, volontario, lavoratore e utilizzatore), ognuna delle quali doveva essere rappresentata in Cda. Fu un momento molto delicato, perché i soci dovevano decidere in quale categoria classificarsi e molti soci faticarono ad individuarla e decisero di uscire dalla cooperativa. Era il 1998, avevo appena vinto il concorso come professoressa ordinaria alla Facoltà di Economia di Trento e avevo davanti a me un percorso professionale impegnativo, con pubblicazioni da scrivere, lezioni da preparare, tesi da correggere, studenti da incontrare, la famiglia da seguire. Fu proprio in quel periodo che mi chiesero di impegnarmi in modo diretto nella cooperativa, ed io accettai, motivata dalla voglia di fare qualcosa di concreto per il bene comune dell’Alta Valle. Fui eletta presidente del Cda di Stella Montis e iniziò un’esperienza straordinaria durata tredici anni che mi ha consentito di conoscere un mondo nuovo, quello dell’assistenza e della cura degli anziani e mi ha offerto l’opportunità di sperimentare e mettere in pratica alcuni dei modelli economici che avevo studiato e spiegato agli studenti, ma mai applicato ad una realtà aziendale. Due figure furono determinanti per la riuscita del progetto: Luigi Callovini, un albergatore della zona che aveva già un’esperienza nella cooperazione ed Enzo Leonardi direttore della cooperativa, con i quali avviai un percorso di riflessione e ricerca del modello organizzativo più adatto alle nuove dimensioni della struttura. Volevamo comunque rimanere fedeli alla cultura di partecipazione e responsabilità dei soci creata durante i primi dieci anni di vita di Stella Montis.
L’obiettivo era realizzare una ‘casa’ dove gli ospiti potessero continuare a vivere, utilizzando le energie residue dell’età avanzata, seguiti da personale di assistenza formato all’ascolto, capace di lavorare in gruppo e di assumersi le proprie responsabilità decisionali e organizzative.Cominciammo così a organizzare corsi di formazione volti a recuperare le abilità residue, per sviluppare la capacità di ascolto dell’anziano e delle famiglie, per imparare a gestire i conflitti, per creare una cultura aziendale condivisa e democratica. La risposta del personale fu positiva e crebbe la consapevolezza del significato di essere una cooperativa. Sostenuta dalla fiducia del consiglio di amministrazione e del direttore, divenne possibile mettere in pratica il modello di gestione organizzativo – partecipativo e quello della rilevazione continua della soddisfazione degli ospiti, delle loro famiglie e dei lavoratori.
Siamo stati i primi in Val di Non a sperimentare il telelavoro, e ad introdurre strumenti di gestione contabile avanzati per la definizione e il controllo del budget. In pieno spirito cooperativo noi amministratori abbiamo scelto di operare a titolo gratuito, assicurando invece attenzione continua alle condizioni economiche delle lavoratrici che, a parità di ruolo e compiti, le vedeva svantaggiate rispetto alle colleghe che svolgevano i medesimi compiti nelle strutture residenziali pubbliche. Alla chiusura del bilancio il consiglio ha sempre deciso di distribuire ai lavoratori un premio in denaro come riconoscimento del loro contributo al raggiungimento dell’avanzo di esercizio attraverso competenza e dedizione. Questa scelta evitava tra l’altro un ricambio frequente del personale che avrebbe comportato la perdita di esperienze e competenze, lo spreco dell’investimento formativo continuo e un innalzamento dei costi.
Vent’anni fa non era molto facile trovare infermiere disponibili in Valle e per questo ne coinvolgemmo alcune provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica con le quali avviammo un progetto d’inclusione, aiutandole ad inserirsi nel lavoro e nella comunità. Un bisogno condiviso che trovò una soluzione condivisa. Nel 2005, durante il mio ultimo mandato da presidente, ho partecipato come socia fondatrice alla nascita dell’associazione Donne in cooperazione. È stata una nuova sfida, diversa perché incentrata sulla costruzione di rapporti politico-istituzionali. Alla soluzione di problemi concreti si sostituiva la costruzione di una trama di relazioni finalizzata al riconoscimento del nuovo soggetto a livello di Federazione. Anche il percorso per l’ottenimento della rappresentanza in Consiglio di amministrazione della Federazione ha richiesto molto tempo e molti confronti con i diversi comparti, nei quali, tolto in quello sociale, la maggioranza degli interlocutori erano uomini.
Sorrido con amarezza pensando alle reazioni che seguirono la proiezione in occasione dell’assemblea annuale della Federazione del video di Lucio Gardin che l’Associazione donne in cooperazione aveva proposto. Negli otto minuti l’attore proponeva tre colloqui di lavoro per l’assunzione di una donna, che naturalmente, qualunque fosse la sua situazione personale e professionale (giovane o matura, laureata o diplomata, con figli o senza) non era considerata idonea. Oggi la discussione sulla mancata parità di genere è molto vivace, ma quella proiezione fu probabilmente la prima ad aprire la discussione in Trentino. Recentemente, Elisa Zanei, all’interno della sua tesi magistrale, ha condotto una ricerca sul ruolo della leadership femminile all’interno della cooperazione trentina e ha messo in luce la persistente resistenza anche tra le cooperative, che per loro natura dovrebbero invece essere paritarie.
Mi piace pensare che l’esempio Stella Montis possa essere un riferimento anche per valorizzare le differenze di genere e sviluppare un modello più inclusivo all’interno della cooperazione.