cooperativa Risto3
Trento - Trentino Alto Adige/Süd Tirol

Solidarieta
Settore
Servizi
storia
1979
Nasce nel
Una cooperativa femminile e multietnica

Una cooperativa con mille collaboratori che dà lavoro a donne che arrivano da tutto il mondo

a cura di Dirce Pradella

Ogni nuova idea inizialmente sembra folle. Me la sono ripetuta molte volte, nella vita, questa massima di Alfred Whitehead, un inglese che riuscì ad essere matematico ed insieme filosofo. A sposare la razionalità con il cuore. Di più. Me la sono stampata e appesa in bella vista nel mio ufficio perché così tante volte nella vita l’ho riscoperta ed apprezzata. Ho vissuto il Sessantotto da studente e quest’esperienza mi ha segnato. Di quegli anni mi è rimasto l’entusiasmo che si prova quando si crede nei sogni, quando si pensa di poter essere costruttori del proprio futuro. La mia adolescenza è passata così, tra l’impegno sociale e il pallone. D’estate, per guadagnare qualche lira, andavo a lavorare in una zincheria in Svizzera, dove mia sorella mi aveva trovato un posto.
Lavoro duro, faticoso e malsano. Quelle esperienze estive mi hanno fatto scoprire un mondo nuovo, quello dell’emigrazione, fatto di razzismo e ostilità ma anche di amicizia e aiuto reciproco. Noi italiani venivamo chiamati zingari e sorvegliati a vista. I miei colleghi erano turchi e spagnoli, sfuggiti dai drammi di casa loro. In quell’occasione ho provato la correttezza degli svizzeri che pagavano fino all’ultimo minuto. E ho sentito forte la solidarietà che si crea tra chi condivide un’esperienza di solitudine, lontananza da casa e xenofobia. Terminata la scuola e il militare, ho fatto vari lavori: le righe sulle strade, il postino, la consegna della spesa per conto di un supermercato della città. Per otto anni sono rimasto alla Bigaran, quella che commercializza i prodotti Pirelli.
Mi occupavo dei conti con l’incarico di responsabile amministrativo. Nell’81 mi sono dimesso. Avevo davanti due opportunità e non sapevo quale scegliere. La prima: lavorare per un sindacato del commercio. La seconda: seguire una cooperativa di cuoche in forte crisi. Ogni nuova idea sembra folle, avrebbe detto l’amico inglese. E così mi sono buttato. Per un mese non ho sollevato gli occhi dalle carte: contabilità, banche, ordini, debiti. Tanti debiti. Il capitale era negativo. La situazione, in effetti, era sull’orlo del tracollo. Le cuoche, licenziate dai patronati scolastici, non avevano esperienza di azienda e le cose erano sfuggite di mano. Solo il fatto che l’ente pubblico, unico cliente, pagava per i servizi resi 5 o 6 mesi dopo rendeva la gestione un impegno complesso.
La prima cosa che ho fatto è stata tagliare tutti gli emolumenti extracontrattuali (superminimi, ad personam, premi ecc). E poi anche tredicesime, quattordicesime e Tfr, con ripristino di una piccola parte a fine anno. È stato un sacrificio duro per tutte le socie. Ma da quell’anno non abbiamo più chiuso un bilancio in perdita. Per avere un’apertura di credito (non un mutuo miliardario, una semplice apertura di credito) ho dovuto portare in banca la firma di tutte le socie. Non è stato facile. Alcune hanno firmato con la solenne promessa che non ne avrei mai parlato con i mariti. Anche per me è stata una responsabilità, ma ero convinto fino alle ossa che sarebbe andato tutto bene. Certo quando è nata Cooperfidi e le garanzie personali sono state sostituite con quelle dell’ente di garanzia ho comunque tirato un sospiro di sollievo, sicuro di poter liberare il pensiero (e la coscienza…) di tante socie.
Quando ho cominciato a lavorare in cooperativa mi sono innamorato della cooperazione, come strumento dell’economia ma soprattutto come sistema di valori. Forse sorridi a leggere queste parole, ma è così. E alle emozioni bisogna dare il giusto nome. Mi piacciono i rapporti che si creano tra le persone grazie al fatto che puoi lavorare in modo diverso. Mi piace vedere concretamente ogni giorno che al centro del nostro agire non c’è il capitale ma il lavoro. Mi piace il modello cooperativo di Mondragon, quello senza consorzi, dove in ogni settore esiste una sola cooperativa. Dopo alcuni anni di lavoro altre persone hanno cominciato a credere veramente nella cooperazione. Lidiana e Lucia (past president e attuale ndr) per esempio. Ma anche tante altre socie in prima linea. A quei tempi tutti erano disponibili a fare qualsiasi tipo di lavoro. Io ho spillato birra, lavato i piatti, servito ai tavoli.
E come me hanno fatto gli altri. Il bisogno, l’attaccamento al nostro lavoro, la voglia di sopravvivere prima e di crescere poi, ci hanno fatto diventare un gruppo forte e coeso. Ciò che da subito ci ha unito è stata una regola chiara: se tu offri la massima disponibilità verso il lavoro, contestualmente la cooperativa garantisce la massima disponibilità verso le tue esigenze. Il rapporto, insomma, non è a senso unico. Mai. E infatti al questionario annuale di soddisfazione delle lavoratrici questo sforzo verso la conciliazione viene rilevato e apprezzato molto.
Gli anni sono corsi via veloci. Prima ci siamo concentrati nella ricerca di nuovi clienti, per sdoganarci dalla rischiosità di avere un unico punto di riferimento, l’ente pubblico. E così è nato il Catering Party.
Visti i buoni risultati abbiamo insistito nella diversificazione commerciale, con l’apertura della prima mensa aziendale, Gaia, in via Maccani a Trento, alla fine degli anni Ottanta. E’ stato come un sogno che si realizza per tanti di noi. Ricordo ancora che tutti i soci hanno lavorato gratis per pulirlo prima dell’inaugurazione. E la gioia quando è entrato il primo cliente, l’attesa, l’emozione di vederla decollare così in fretta. L’ingresso nella ristorazione ci ha permesso di dare una svolta alla cooperativa anche in senso finanziario: abituati a ricevere i soldi dall’ente pubblico parecchi mesi dopo aver fornito la prestazione, per la prima volta potevamo avere delle entrate anticipate (con nostri buoni pasto) o contemporanee.
All’inizio degli anni Novanta decidemmo la fusione con la cooperativa Corip (Cooperativa risotorazione perginese) e poi aprimmo altri ristoranti aziendali: Gilda, Glenda, Giulia. Un volano di liquidità e una forte crescita di immagine. I ristoranti self sono in crisi in tutta Italia ma non in Trentino. Siamo gli unici a riuscire a tenerli in vita, perché diamo buona qualità. E a continuare ad aprirne. Oggi Risto3 conta mille collaboratori tondi tondi. Il 94% è di sesso femminile. Diamo lavoro a donne che arrivano da tutto il mondo: Stati Uniti, Canada Africa, Sudamerica, Asia. In tanti anni non ho mai visto atti di razzismo tra colleghi: il colore della pelle non è certo un problema. Qualche difficoltà l’abbiamo avuta, come quella volta che un cuoco marocchino non voleva saperne di avere un superiore donna. Ma si tratta di rari episodi, risolti con il buon senso quando possibile o con la risoluzione quando inconciliabile con l’organizzazione aziendale.
Credo che Risto3 sia la dimostrazione che può esistere una società multietnica, aperta e sensibile. È da tanti anni nostro socio anche un collega affetto dalla sindrome di Down. E lavorando qui con noi ha potuto vivere normalmente, sentirsi parte di un gruppo e dare il suo contributo. Questa è una delle cose belle che mi porto nel cuore. Sono innamorato della cooperazione, ma ciò non mi impedisce di vederne i difetti. Per esempio, secondo me, Casse Rurali e Famiglie Cooperative dovrebbero fare soci i dipendenti non solo i clienti. In questo modo aumenterebbe la loro motivazione e questo da solo è garanzia di buona riuscita commerciale. Penso che i soci delle cooperative agricole dovrebbero pagare una tassa di uscita e non di entrata. Lo stesso vale per i consorzi di secondo grado. Questo è sposare la matematica con la filosofia, la razionalità con il cuore. La sfida è riuscire a restare in equilibrio, come fa Buster Keaton nel quadro che ho in ufficio.

Sergio Vigliotti