Testimonianza Luciano Imperadori: «Serve costruire l’uomo cooperativo prima della cooperativa»
Lombardia

Comunità
Settore
cooperatori,lavoro,luciano imperadori
1950 ad oggi
Periodo di Attività
Luciano Imperadori

Storico, esperto di comunicazione, cooperatore. “La solidarietà va costruita con impegno, non è scontata”.

di Franco de Battaglia
“Posso forse dire, nella mia vita, di aver cercato di mettere insieme mondi che apparivano lontani, ma che in realtà erano accomunati dagli stessi valori, situazioni diverse, ma unite nella consapevolezza della centralità dell’uomo e dei ‘territori’, case di vita per l’uomo. Sono bergamasco, della Val Camonica, che è appena al di là del Tonale, ma per raggiungere il Trentino ho fatto un po’ la strada lunga: Milano, Roma, Bolzano… Ed alla Cooperazione sono approdato provenendo dal sindacato. Certo l’aspirazione di fondo era la medesima: la dignità di chi lavora, la solidarietà, uno sviluppo sostenibile. Ma le esperienze erano diverse, ed io la Cooperazione l’ho conosciuta nel Trentino, mentre facevo il sindacalista”. Luciano Imperadori ha da poco girato la boa dei 70 anni, ma è sempre molto attivo nei suoi interessi e negli studi, su don Guetti, su Carlo Magno (che pure ha “unito” Val Camonica e Trentino nella calata su Verona con “quattromila lance” come è ricordato nella chiesetta di Santo Stefano a Carisolo). In val Rendena (la moglie è di Pinzolo) Imperadori trascorre lunghi periodi. Ama la fotografia e, in questa stagione, inoltrarsi nell’inverno magico della Val Genova. Racconta. “La mia vita? Forse non semplice, ma schietta. Sono nato in un piccolo paese vicino a Breno, poi lavoro alla Dalmine, a Milano, dove sono entrato nel sindacato. Anni Sessanta. A Trento si sta organizzando il sindacato unitario dei metalmeccanici, con Giuseppe Mattei, a Roma la scena è dominata dalla grande “triade”, Trentin, Carniti e Benvenuto. Si fosse fatta allora l’unità sindacale quanto tempo perduto l’Italia avrebbe guadagnato! Da Roma venni poi trasferito a Bolzano e lì feci l’esperienza fondamentale di capire cos’era una terra “di minoranze” con le difficoltà e le opportunità che offre. Nei primi anni Settanta la pacificazione del Pacchetto si sentiva, ma Bolzano era ancora una città pienamente industriale, con le Acciaierie, la Lancia… C’era un sindacato in più, quello tedesco, l’Asgb… noi parlavamo in italiano, loro in tedesco, ma ci si intendeva! Mi sono sposato nel 1974, ho conosciuto mia moglie a Pinzolo, durante una vacanza, ma avevamo poco tempo per fare vacanze: Mattei era andato a Roma, a Trento c’era la Flm unitaria con Garibaldo per la Fiom–Cgil, Imperadori per la Fim-Cisl e Del Buono per la Uilm. E’ stato allora che l’esperienza solidaristica maturata nel sindacato si è unita agli esempi cooperativi che incontravo sul lavoro. Non conoscevo il mondo cooperativo nei suoi risvolti storici e umani e mi sono messo a studiarlo. E’stata una scoperta, anche perché, provenendo da “un altro mondo”, ho potuto vedere il messaggio di don Guetti in maniera meno “buonista” di quanto appaia da alcuni stereotipi. Guetti era un realista, conosceva anche le durezze della natura umana. Sapeva che non è vero che quando la gente è povera diventa solidale e fa le cooperative. Quando la gente è povera spesso pensa solo a se stessa e nascono le “guerre fra poveri”. Lo vediamo anche oggi. La solidarietà va costruita con impegno, non è scontata. Quanti incontri nelle stalle ha promosso don Guetti “prima” di fare cooperative? Don Guetti s’è impegnato a costruire “l’uomo cooperativo” innanzitutto, è questa la sua grande, attualissima lezione. Merita ricordare come nacque la prima cooperativa, a Santa Croce di Bleggio. Confluirono esperienze portate dagli emigrati trentini in Piemonte, dove avevano conosciuto la cooperazione inglese, “importata” attraverso Mazzini esule a Londra, e l’esperienza tedesca di Reiffeisen. C’è un po’ di Nord e di Sud nelle radici cooperative trentine e questo dà loro fascino e completezza! C’è anche una sponda istituzionale, ed è importante. Occorre “voler” promuovere il benessere sociale, la pace sociale per ottenerla. Non c’è nulla di automatico. Non basta il Pil, il credito… Le istituzioni e la politica devono fare la loro parte. Fu proprio il Consiglio provinciale per l’Agricoltura, infatti, sezione di Trento (che aveva sede dove ora c’è la facoltà di Economia) a stanziare un sussidio ai contadini per una calamità naturale. Nacquero però subito dubbi su come distribuire gli aiuti. Un po’ ad ognuno? A pioggia? Sarebbero state cifre irrilevanti. Don Guetti propose invece l’acquisto collettivo (presso il molificio Costa di Vallarsa, che c’è ancora, ma fa olio) di un grosso quantitativo di farina da polenta che avrebbe potuto essere acquistata a un prezzo molto basso al mercato di Ponte Arche. Dapprima i contadini diffidarono (“se costa poco vuol dire che è di scarsa qualità”) poi invece videro che la qualità era buona ed iniziarono gli acquisti. I commercianti locali reagirono con durezza e una notte riempirono i paesi di manifesti che dicevano: “Aprite gli occhi, contadini, i sussidi destinati ai poveri li mangiano i preti”. Con altre “varianti” molti attacchi alla Cooperazione avrebbero poi seguito questo schema, soprattutto quando, dopo la prima cooperativa di consumo venne aperta la prima cassa rurale. “Consumo e credito” sono il binomio indissolubile preso di mira insieme da Liberali e da Marx. Anche oggi che le Famiglie Cooperative sono prese nella morsa di una “guerra fra supermercati” che sembra voler espellere i deboli più che rendere concorrenziali i prezzi, mentre le grandi istituzioni finanziarie sono all’opera per smantellare il credito cooperativo con le sue specificità: un uomo un voto, profitti indivisibili, capitale non alienabile ma trasferibile alle future generazioni. Io ritengo però che la Cooperazione saprà superare questo momento, se accentuerà la sua vocazione etica (anche la Banca Etica, sì! Proprio a Trento c’è la sede della Sefea, Società europea finanza etica alternativa) non solo perché con l’etica si fanno anche i soldi, ma perché senza etica si finisce sicuramente per perderli, come s’è visto in questi anni! Sono entrato alla Federazione come impiegato nel 1978, all’Ufficio Divulgazione come si chiamava allora! Poi sono passato all’Ufficio Stampa e all’Ufficio Studi e Marketing intercooperativo. Direttore era Nicolussi, vicedirettore Leonardelli, presidente Monti. Poi sono andato alla Formazione-Lavoro. L’assunto è sempre il medesimo: costruire l’uomo cooperativo prima della cooperativa, diffondere una visione di sistema. La Federazione non è “sopra” le cooperative, ma “al centro”. Tiene insieme – garantisce e tutela – la trama orizzontale del Primo grado e l’ordito verticale dei Consorzi. E’questo anche il significato del motto “Unitas”, che non vuol dire “stare insieme volendosi bene”, ma sostenersi trasversalmente, interagire, completarsi. Il modello regge bene, ma bisogna rendersi conto dei gravi pericoli che lo minacciano. Se si afferma il principio di spartirsi gli utili, nulla resterà alle future generazioni, che si troveranno ancora più impoverite. Nel consumo, occorrono investimenti per qualificare i negozi locali, più che farsi inglobare dalle grandi catene esistenti. Anche in questo caso occorre ripartire dalla persona, dal “socio” e dalla motivazione del socio, sostenere con forza che il territorio non è un limite, ma una garanzia. E occorre essere consapevoli di due cose: che la Cooperazione è democratica perché se i consumatori si organizzano possono incidere sulla produzione. Si vota anche acquistando una merce o rifiutandola. La seconda è che le battaglie vanno combattute anche quando si possono perdere, perché restino nella memoria, nelle radici di un popolo, di un territorio. Cosa ho imparato? Che la Cooperazione deve mantenere le sue radici e su queste far rispuntare nuovi germogli.