cooperativa La Paranza
Napoli - Campania

Tenacia
Settore
Welfare
Territorio
2006
Nasce nel
Volontà al servizio di un territorio

Partire dal basso per costruire un progetto importante, destinato a durare

Questo è un estratto della storia di Gianni, il presidente della cooperativa La Paranza che dal 2006 gestisce le Catacombe di Napoli ed è contenuta nel libro “Vico esclamativo – voci dal Rione Sanità”. Il testo è di Chiara Nocchetti, di seguito pubblicato per gentile concessione dell’autrice. Papà guidava un taxi e io dicevo a tutti che volevo fare il suo lavoro. È morto all’improvviso quando avevo sette anni. Una complicazione dopo un intervento allo stomaco, un caso su mille, ripetono tutti. Ricordo le porte che sbattono, le lacrime, la gonna nera di mamma. Niente giro in taxi oggi pomeriggio, bambini, andiamo al cimitero, andiamo a trovare papà.
Tutti i giorni, dopo la scuola, per dieci lunghissimi anni, mamma ci ha portati al cimitero. Io correvo, giocavo con i fiori, leggevo i nomi sulle lapidi e ridevo: ero piccolo, troppo piccolo e non capivo perché piangessero tutti. Mia madre continua a vestire sempre di nero, sento gli adulti dire che sta portando il lutto: mi fa ridere questa parola, la immagino trascinare un peso grande sempre con sé. Il pomeriggio, dopo il lavoro, aiuta i bambini per il doposcuola alla parrocchia di Poggioreale. Ci porta con sé, mio fratello e me, corriamo, tiriamo calci al pallone, aspettiamo. Un giorno, mentre corro, un ragazzo dalla voce profonda mi chiama nel cortile. “Sono Antonio” si presenta. Aveva ventitré anni e stava diventando sacerdote. “Tu che sei grande puoi accompagnarmi al cimitero da papà?”.
Passano i giorni e seguo Antonio ovunque vada; ha degli amici, fanno i sacerdoti anche loro. Uno si chiama Rosario e ha qualche anno meno di Antonio, un altro si chiama Enzo. Li osservo, cerco di imitarli, penso persino di fare il sacerdote anch’io. Antonio mi guarda e ride. “Nun è cosa toja picceri’!”. Passiamo il tempo nelle comunità di recupero per la tossicodipendenza, guardo e imparo: non hanno un taxi, questi uomini ma sembra che trasportino i cuori lontanissimo da qui. Un giorno, mentre Enzo e Antonio sono in viaggio in Egitto, ricevo una telefonata: Rosario è morto, mi dicono, ha avuto un attacco cardiaco mentre mangiava. Aveva trentatré anni. Sono grande, adesso. Nella parrocchia di Rosario ospitiamo un sacerdote giovane; si chiama Mario e soffre da un po’ di una malattia senza nome e senza segni.
Siamo a cena insieme una sera, accanto ad una grande finestra: fumiamo e chiacchieriamo. All’improvviso Mario si alza, prende la rincorsa, corre e vola giù dalla finestra. Stringe tra le mani un crocifisso e sparisce in un battito d’ali. Da quella finestra non mi sono affacciato mai più: stavolta ho finito le lacrime. Qualche tempo dopo Enzo lascia la parrocchia, si è innamorato, si spoglia dai voti e si sposa. Un’altra parola buffa, spogliarsi: un andare via, un voltare pagina, un lasciare. Conosco Anna nel quartiere, dopo qualche tempo ci sposiamo e mettiamo al mondo due bimbe, Camilla e Carolina. All’improvviso sono loro ad aspettare me, con il naso sul vetro e le manine imploranti. Mi iscrivo all’università ma dopo due anni mi fermo. Sono inquieto, non so dove andare: ogni tanto viaggio, mi allontano, poi torno, lo so che torno. Mi piace pensare che ci sia qualcuno ad aspettarmi.
Trovo un lavoro alla Fiat, un mestiere che odio, ma devo pagare un mutuo e far crescere due bimbe. Faccio molti turni, soprattutto la notte, e ho ripreso a studiare: mentre i macchinari lavorano, mentre assemblano i pezzi, apro i libri e imparo. Un pezzo, una pagina. Mi laureo in Scienze politiche e intanto faccio l’operaio. Antonio è l’ultimo dei miei fratelli maggiori, resiste a questa schiera di ali che hanno preso il volo: si trasferisce alla Sanità. Nel 2006 nasce la cooperativa La Paranza e io vengo nominato presidente. All’improvviso sono io ad indirizzare gli altri, a venirli ad aspettare alla finestra. Ho lasciato il lavoro alla Fiat, ho lasciato le macchine, lavoro con il cuore della gente, insegno ad aspettare e ricordo loro che c’è sempre qualcuno che verrà a prenderti. Qualcuno che non se ne va. Mi chiamo Gianni, ho quarantaquattro anni e questa è la mia storia.