cooperativa Amadori
Forlì-Cesena - Emilia Romagna

Passione
Settore
Agroalimentare
Storia
1969
Nasce nel
Parola di Francesco Amadori

Un sogno italiano nato dal basso e cresciuto grazie all’impegno e alla passione per il lavoro.

Alla fine di maggio del 1999 in Belgio scoppiò il caso dei polli alla diossina. Un colpo durissimo al mercato. L’imputato principale era un grasso immesso nei mangimi animali per aumentarne il contenuto calorico. Grasso contaminato dalla diossina di oli industriali. Il problema fu circoscritto e riguardò Belgio e Germania, ma l’ondata di paura colpì tutta l’Europa. Anche i consumatori italiani, nonostante non ci fossero motivi di timori concreti.I giornali dopo averne scritto con toni allarmistici, iniziarono a rettificare spiegando come quel mangime non avesse mai toccato suolo italiano. Ma il danno era fatto. I consumi di carne bianca crollarono in pochi giorni del 40%. Noi, come tutti i competitor, avevamo celle frigorifere stipate di prodotto non venduto. Un disastro. Verso metà giugno, in piena crisi, un nostro venditore venne a sapere che il nostro maggiore concorrente aveva preso la decisione di tagliare i prezzi del 50%.
Secondo me una scelta sbagliata perché, in un momento così delicato, applicare un forte calo dei prezzi avrebbe contribuito a consolidare la sensazione che il prodotto avesse davvero problemi.Proprio in quei giorni alcuni dirigenti si trovavano a Milano per presentare le «Tenerissime», una novità su cui puntavamo molto. Nel viaggio di ritorno, in auto c’erano il direttore commerciale, il responsabile della comunicazione, il direttore marketing e mio figlio Flavio. Mi raccontarono che a metà strada tra Milano e Cesena arrivò, appunto, la telefonata del venditore. La situazione era pesante: dovevamo escogitare qualcosa che ci tenesse a galla. A qualcuno venne in mente la strana idea di mandarmi in televisione a rassicurare i consumatori. Avrei dovuto spiegare come venivano allevati i nostri polli, garantendo sulla loro genuinità e salute. Mi chiamarono al telefono fissando una riunione per quella stessa sera.
Mi presentarono l’idea che mi sembrò un po’ strampalata ma, come faccio di solito, cercai di ascoltare, di capire. Mi ricordo solo che dissi: «Mé in television? Sa sìv, tot mat? (Io in televisione? Siete tutti matti?) Non sono mica buono di stare davanti a una telecamera» Loro mi suggerirono di pensarci. «Ci dorma sopra questa notte e domattina decidiamo se andare avanti». La notte dormii bene, come del resto ho sempre fatto, e la mattina mi sentii pronto per provare. «La penso esattamente come ieri sera – dissi appena arrivai in ufficio – penso di non essere capace di andare in tivù, ma se dite che serve per rimettere in piedi il settore e spiegare la verità ai consumatori, ci sto. Mi metto a disposizione da subito».
E così fu. La stessa mattina, un venerdì, partì la macchina produttiva. Scegliemmo il luogo per girare le scene: la casa di mio nipote Andrea, sulle colline cesenati. C’è una bella vista sui campi di grano, sui filari di viti e siamo in piena campagna romagnola. Il testo di quello che dovevo dire, mi ricordo, venne scritto lì per lì. Provai un paio di volte e domenica girammo. Camminavo lungo la cresta della collina, poi mi fermavo, mettevo la mano nel mangime dei polli, parlavo della salute e della genuinità dei nostri prodotti e concludevo con la frase «Ci metto la mia firma». Una sorta di promessa agli italiani, con cui mi impegnavo in prima persona. Da allora, senza rendermene conto, sono diventato un personaggio pubblico che la gente saluta e riconosce per strada. E la cosa, ogni volta, continua a sorprendermi.